La conoscenza della patogenesi della paralisi di Bell permette di comprendere la corretta terapia farmacologica da somministrare. Questa patologia è legata ad una infezione virale (HSV), e compare tipicamente con l’esposizione repentina ad ambiente freddo, e per questo è nota come paralisi a frigore. Il nervo facciale aggredito dal virus va incontro ad infiammazione ed edema (gonfiore) delle sue strutture, ma poiché decorre all’interno di un canale osseo non deformabile a livello della base cranica il suo tentativo di espansione è impossibile ed il nervo risulta perciò compresso da parte delle pareti del canale. Ne consegue un insulto ischemico (paragonabile al letto ungueale che diventa bianco se viene schiacciata l’unghia) che può determinare danni completamente reversibili, parzialmente reversibili oppure permanenti.

La terapia della paralisi di Bell deve perciò mirare a combattere il meccanismo di compressione del nervo, invertendo il processo edemigeno: ne consegue che debbano essere utilizzati farmaci cortisonici ed antivirali. In particolare i cortisonici devono essere somministrati immediatamente e ad alte dosi (Metil Prednisolone 30 mg./Kg. Statim, seguito da 15 mg./Kg. ogni 6 ore per 2-4 giorni).

Dosaggi più bassi e ritardati anche solo di 1-2 giorni rispetto all’insorgenza della paralisi possono determinare a volte conseguenze irreversibili. La terapia medica si avvale anche di neurotonici e vitaminici al fine di migliorare la “ripresa nervosa”, con dati non comprovati da un punto di vista scientifico. L’utilizzo di lacrime artificiali aiuta a migliorare la lubrificazione corneale.
Un ciclo fisioterapico specifico completa il programma terapeutico.

In circa l’80% dei casi questi provvedimenti danno luogo a una buona ripresa della funzionalità nervosa. Nel restante 20% dei casi in cui non ci fosse un recupero soddisfacente dalla lesione entro 12 mesi dalla sua insorgenza si deve intervenire trattando chirurgicamente il paziente.
Altra indicazione al trattamento microchirurgico è il caso di sezione certa del nervo dovuto a un trauma o ad un intervento chirurgico in base cranica o alla parotide.
In questo caso i tempi del del trattamento devono essere i più stretti possibile, perché la qualità della ripresa nervosa è inversamente proporzionale al tempo trascorso dall’insorgenza della paralisi.

L’intervento microchirurgico classico consiste nell’effettuare un’ anastomosi tra il nervo facciale ed il nervo ipoglosso (anastomosi ipoglosso-facciale), con relativo danno di motilità alla lingua, non certo trascurabile.
Da 3 anni l’Autore ha proposto a livello internazionale l’anastomosi tra il nervo facciale ed il nervo masseterino (anastomosi masseterino-facciale),  “riattivando” in modo efficace e con nuovo impulso il VII nervo cranico a fronte di una morbilità assolutamente trascurabile. Il paziente non avverte infatti alcuna differenza di forza masticatoria tra il periodo precedente e quello successivo all’intervento chirurgico.

Se la paralisi è invece insorta da più di 2 anni, l’atrofia della muscolatura mimica è irreversibile e sarebbe inutile cercare di riattivare il nervo facciale tramite l’anastomosi con il nervo masseterino.
Si opta allora per trasporre nella faccia muscoli attivi in altre regioni del corpo (come il latissimo dal dorso o il gracile dalla coscia) con un intervento di microchirurgia ricostruttiva. Piccole procedure chirurgiche ancillari perfezionano i risultati.

Il trattamento di questa patologica, a carico del SSN, viene eseguito routinariamente presso la Clinica Chirurgica Maxillo-Facciale dell’Ospedale Galeazzi di Milano, diretta dal Prof. Federico Biglioli.